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«Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Questo è quanto» Oscar Wilde
"Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in dece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini". Titolo del Proemio
Leggere il Decameron è un'esperienza decisamente particolare. All'inizio si è in difficoltà a causa del linguaggio per noi inusuale (molto meno i fiorentini), ma poi ci si prende mano, e scegliendo una buona edizione (come quella a cura di Vittore Branca) ci si aiuta anche con le note esplicative. Ma la particolarità, o meglio l'eccezionalità, va ben oltre. Si viaggia nel tempo, si entra nei posti, nelle situazioni, si conoscono personaggi di ogni genere, e magari ci si sorprende per la loro familiarità. Situazioni di volta in volta comiche, ludiche, ridicole, dissacranti, romantiche, eccessive, pruriginose, esplicitamente erotiche (pur se mai volgari), disarmanti. Ma c'è anche la drammaticità di alcune vite ed esperienze, il terrore, la crudeltà, l'ingiustizia. Ci sono la buona e la cattiva sorte, i vizi e le virtù, il bene e il male, l'amore e l'odio, i cavalieri e le donzelle, i preti e le suore, i mercanti e le donne, le donne a cui Boccaccio ha dedicato l'opera, che ammira e, sorprendentemente, riscatta. Certamente non un libro da leggere per dire "l'ho letto", ma per il puro piacere di farlo.
"Si è sempre barbari di qualcun altro." Alessandro Barbero
Molti sapranno qualcosa sulla battaglia di Waterloo o la disfatta di Caporetto, ben descritte e spiegate nei libri di scuola, ma c'è da scommettere che in pochi conosceranno la battaglia di Adrianopoli, significativa per il passaggio epocale che ha segnato. Proprio per rimarcare la sua importanza, Barbero in questo libro racconta il prima e il dopo, oltre a darci cronaca della giornata di battaglia. Perché ci si è arrivati, perché i romani l'hanno persa e cosa ha comportato il suo esito. Questi fattori hanno pesato enormemente su quello che è accaduto dopo, sulla catena di eventi che hanno portato alla "caduta" dell'impero romano d'occidente. Ma il racconto è anche storia di popoli che si muovono, di un mondo che si trasforma. Per non ridurre tutto alle varie etichettature/idee stereotipate di una "civiltà distrutta dai barbari", di "terribili sanguinose invasioni", ma per comprendere lo svolgersi di un epocale cambiamento che già era in atto, in divenire, che sobbolliva aspettando di manifestarsi. E questo cambiamento ha portato poi alla nascita di nuovi regni, di nuove realtà che sono diventate l'embrione della nostra Europa. La battaglia di Adrianopoli, insomma, come una porta aperta verso il futuro.
"Nella realtà italiana di oggi c'è un passato che sembra dimenticato." Adriano Prosperi
"Ma che cosa significa liberarsi dal peso del passato? Questo libro è, al medesimo tempo, un'apologia della storia e uno sguardo preoccupato sulla società dell'oblio in cui viviamo. Una società dove la storia, come disciplina, è vituperata e marginalizzata. E dove dimenticare il passato è un fenomeno connesso alla scomparsa del futuro nella prospettiva delle nuove generazioni, mentre le rinascenti mitologie nazistoidi si legano all'odio nei confronti di chi viene «da fuori». E tuttavia l'offuscarsi della coscienza e della conoscenza storica sembra passare quasi inavvertito. Per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto, e per superare questa indifferenza sul tema, Adriano Prosperi propone qui una riflessione sul ruolo della memoria e della storia nella nostra tradizione." (dalla quarta di copertina)
Dalla storia d'amore tra un pastore, Affrico, e una ninfa, Mensola, prendono il nome due torrenti di Fiesole. Affrico segue il destino del padre di suo padre, Mugnone. Diana, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne, punisce severamente la trasgressione all'obbligo di castità delle sue ninfe. A causa del loro amore Mugnone viene ucciso, Affrico si toglie la vita, ed entrambi lasciano corpo e sangue nei torrenti che poi prendono il loro nome. Mensola invece viene trasformata in torrente dopo aver partorito un bambino che poi diverrà il reggitore di Fiesole, Pruneo. L'opera, mitologica, è un poemetto in versi di Boccaccio, il Ninfale fiesolano, scritta tra il 1344 e il 1346, forse anche prima (per il "più grande narratore europeo" la datazione delle opere è difficoltosa). Questa, in ogni caso. è ritenuta l'opera più felice dopo il suo capolavoro, il Decameron.
"Papyrus. L’infinito in un giunco. La grande avventura del libro nel mondo antico" di Irene Vallejo
Questo libro è un saggio ma quasi non ci se ne accorge, se siamo abituati a quelli di studio che talvolta risultano ostici e pesanti. E' il tipico esempio di come le questioni storiche possono risultare agevoli e piacevoli se esposte nel modo giusto. Oltre a trattare la storia della scrittura e dei libri, contiene anche tantissime curiosità e "perle" di sapere. L'autrice, una giovane filologa, sa abbinare molto bene la sua competenza ad una esposizione accattivante, scorrevole. Si potrebbe parlare di leggerezza intesa nel suo senso più aulico, ovvero il meraviglioso risultato di semplicità che raggiunge chi scrive bene ed è talmente padrone della sua materia da poterci giocare.
"La follia degli intelligenti è sempre più perniciosa di quella degli idioti." Gore Vidal, dal libro Giuliano
Un validissimo romanzo storico sulla vita di Flavius Claudius Iulianus, Flavio Claudio Giuliano, nipote di Costantino I, a cui è stato associato l'appellativo di "apostata" perché da imperatore cercò di riportare il culto pagano nell'impero ormai cristianizzato. Un personaggio controverso, ora condannato come un traditore, ora osannato come un sovrano filosofo protagonista di un sogno di restaurazione. Anche con la sua politica si mise in posizione opposta allo zio, ma entrambi sono considerati personaggi centrali e determinanti per la comprensione della fine del mondo antico, della cosiddetta "tarda antichità". Scrive Mazzarino, ritenuto uno dei maggiori storici dell’antichità del 20° secolo: "l'antitesi tra Giuliano, l'eroe della res publica, e Costantino, l'imperatore isoapostolo, è la chiave per intendere la storia dell'impero romano".
“L'azione nata dalla rabbia è destinata a fallire.” Gengis Khan
In piena quinta crociata (1221) un vescovo, Giacobbe di Vitry, scrive quattro esultanti lettere rispettivamente al Papa, al Re di Inghilterra, ad Duca d'Austria e all'Università di Parigi per comunicare una notizia favolosa: un nuovo potentissimo Re, protettore della cristianità, ha sconfitto lo Scià di Choresin e ha conquistato il regno dei Persiani. Un nuovo Re David, Re dei Giudei, forse il nipote del mitico prete Giovanni (o Gianni), sta arrivando a risolvere lo stallo in cui si trovano i cristiani, per combattere al loro fianco, per loro, contro gli infedeli! In Europa scoppia l'entusiasmo per la notizia di questa indubbia prova di intervento divino! Il Re dei Re torna per sterminare il Regno dei Saraceni e proteggere la Santa Madre Chiesa! Il mitico prete Gianni ancora in azione! In realtà, non passa che un anno e arrivano notizie diverse. Nel 1222 è la regina Russudan di Georgia a scrivere al Papa, per raccontargli di un "popolo selvaggio di Tartari dall'aspetto infernale, rapaci come lupi e coraggiosi come leoni" che ha attraversato i suoi territori, con una croce trasversale bianca sulla bandiera. Passa ancora qualche anno e non solo gli europei vengono a conoscenza delle scorrerie di questa popolazione oltre il Caucaso, nelle pianure a settentrione del Mar Nero e oltre, ma rischiano di diventare possesso mongolo come era avvenuto a molti altri. Solo a causa di un inaspettato evento, infatti, i Mongoli nel 1242 interrompono improvvisamente la conquista dell'Europa che intendevano mettere in atto nel rispetto del programma lasciato loro dal Khan il cui sogno era possedere il mondo, Temugin, Gengis Khan. Se ne vanno dopo aver già devastato l'Ungheria e fatto della Serbia e della Bulgaria stati vassalli. Se ne vanno quando l'occidente era già nel panico, quell'occidente che -come oggi- non riusciva ad abbandonare la tendenza a sentirsi superiore sottovalutando, e svalutando, il diverso, il "barbaro".
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